arriva Dolly Si direbbe che i recenti sviluppi sulla ricerca genetica in tema di clonazione abbiano rinverdito l'annosa controversia esistente tra natura e ambiente nel determinismo della identità individuale, controversia che si andava in qualche modo attenuando in favore di una continua interazione individuo-ambiente fin dalla riproduzione della prima cellula asessuata. Questa visione relazionale si andava dunque consolidando nei circoli biologici e, in minor misura, in quelli clinici, quand'ecco è venuta fuori la pecora Dolly (Wilmut e Campbell, 1997) e, con essa, l'informazione che da qualche anno sono in corso ricerche su animali per ottenere linee cellulari geneticamente modificate da utilizzare negli innesti e nei trapianti. Selezione razzista Il successo degli esperimenti di clonazione di Edimburgo condotti su cellule differenziate di pecora adulta che sono rapidamente giunti all'opinione pubblica suscita reazioni le più diverse. Profilandosi la possibilità tecnica della riproduzione teoricamente infinita di individui uguali a partire da cellule non germinali di soggetti adulti, il Parlamento Europeo (1997), com'è noto, ha emesso una risoluzione che ribadiva quanto già espresso nel suo documento dell'89, e cioè la ferma convinzione secondo cui la clonazione di esseri umani non può essere assolutamente giustificata o tollerata dalla società in quanto essa rappresenta una grave violazione dei diritti umani fondamentali, contraria al principio di parità tra gli esseri umani poiché permette una selezione genetica e razzista della specie umana, offende la dignità dell'essere umano e richiede una sperimentazione sull'uomo. Anche dai circoli ecclesiastici si è fatto sentire il preoccupato avvertimento che ogni scoperta che tocca la procreazione umana non tocca solo il corpo ma anche lo spirito, in quanto l'uomo è uno solo e mortale, e la sua unicità è la base della sua dignità umana. Duplicato di un'altra persona La risposta dell'opinione pubblica ampiamente informata è stata di natura la più diversa, e l'informazione non ha impedito che si determinasse in molti una vera crisi di identità. Il problema, infatti, che si è venuto a creare nella mente di molti è se possa esistere al mondo un altro essere come se stesso nel senso della copia conforme. Questo problema ha sollevato un primo interrogativo circa la positività o meno di questa nuova situazione, e un altro interrogativo che invece riguarda la questione della specificità del proprio sviluppo, della libertà di determinazione autonoma, e di un possibile libero arbitrio. La considerazione psicologica che si pone, in queste circostanze, è se e come influisca su una persona il sapere di non essere un individuo a sé, ma di essere invece, in qualche misura, il duplicato di un'altra persona nel senso di copia conforme. In altri termini, quale possa essere la situazione psicologica dell'individuo clonato. Non potrebbe essere migliore? Si potrebbe sviluppare una sorta di empatia tra il clonato e il suo alter ego, o invece determinare una forte difesa della propria unicità degli affetti con cui l'individuo si è trovato a crescere, una difesa di sé come persona che è stata generata e amata dalla nascita in quanto se stesso, entità non confondibile con nessun altro essere al mondo, e pertanto non disposto a vivere con lo spettro di un altro. Crisi d'identità Come si è detto, l'idea di clonazione può determinare una vera crisi di identità. L'idea che vengano violati i diritti umani e la possibilità di realizzare la propria crescita in modo autonomo com'è diritto di ognuno, cosi da poter vedere il mondo dal proprio, personale punto di vista e di poterlo vivere in tale funzione è avvertita come una sfida, e motivo di gravi turbamenti. In questa ottica vngono difesi l'unicità dell'essere umano e la sua individualità, e non si ammette che si possano avere duplicati, pena la perdita di dignità cui l'uomo ha diritto. Un esempio di questo modo di porsi può essere rappresentato da una madre che non vorrebbe mai un figlio clonato perché sa che questo non potrà mai essere lo stesso che ha perduto, e vuole riservare il suo amore unico e irripetibile per il bambino che le è morto, e ci può essere invece un'altra madre che ha perduto il figlio che chiede di potere avere in un clone una copia conforme che potrà colmare, a suo dire, il suo senso di perdita. Si ripropone qui il grande tema della genetica e della identità che noi andiamo assumendo attraverso lo sviluppo ed i successivi processi di identificazione. Prime cure e sviluppo mentale In che misura l'individuo è figlio dei genitori che l'hanno generato, e in che misura lo è dell'ambiente e della cultura in cui vive? Anche posto che egli sia riuscito a internalizzare i modelli genitoriali, non è detto che il processo di identificazione con i genitori abbia sempre esito positivo, dovendo fare i conti con il metabolismo psico-affettivo che è proprio dell'individuo, e con i suoi meccanismi di difesa. Quanto dunque l'identità individuale dipenda dai genitori e quanto dall'ambiente, si è detto, è oggi più che mai in discussione. E' ormai chiaro che lo sviluppo della mente appare influenzato dal primo ambiente di vita, sopratutto del primo anno, assai più che non dal patrimonio genetico. Tra le ricerche in questo campo vi è uno studio condotto congiuntamente dall'Università del Kansas e quella dell'Alaska (Herald Tribune, 18 Aprile 1997) dal quale si apprende che il numero di parole che vengono dette a un bambino di prima infanzia durante la giornata da parte di persone a lui affettivamente legate (non quindi da Radio e TV) è l'indicatore più importante di quelle che saranno la sua intelligenza futura, i suoi successi scolastici e le sue competenze sociali. Peraltro è noto da ben oltre cinquant'anni (Bakwin, 1942, Spitz 1945, Bowlby 1950) che esiste uno stretto rapporto tra prime cure e sviluppo mentale, ed in particolare è nota l'influenza che ha l'uso del linguaggio rivolto a un bambino di prima infanzia sullo sviluppo della sua mente. Il problema del rapporto tra genetica e ambiente è complesso, e in continua evoluzione. Scienza ed etica clinica Per quanto concerne la Bioetica, che comprende anche l'etica clinica, è evidente che essa dovrà essere di continuo presente, essere parte integrante della scienza in momenti critici come quelli attuali, e dovrà convivere con assoluta trasparenza e con continui scambi di vedute. La scienza cammina veloce, su una strada che può sembrare promettente e che quindi può facilmente sedurre, particolarmente quando uno può rinascere o, almeno, rinascere attraverso la prole. Ne sono un esempio coloro che, dopo essere andati incontro a ripetuti incidenti riproduttivi (sterilità prolungata, aborti, nati morti, bambini affetti da malformazioni o da errori genetici del metabolismo) animati da fantasie narcisistiche, vorrebbero un figlio per servirsene come donatore di organi in favore dei familiari, oppure “giusto un figlio su misura”, o coloro che pensano alla selezione di individui in funzione eugenetica. Le sperimentazioni genetiche sugli animali - le sole legalmente ammesse al momento - avanzano rapidamente. Il sapere che i problemi cardio-circolatori, che sono oggi la più frequente causa di morte tra individui di età adulta, potrebbero essere ridotti nella loro componente ateromatosica, introducendo geni che attenuano l'indurimento delle arterie attraverso l'uso di virus particolari impiantati ad hoc, non può non sollecitare la fantasia per lo meno degli individui a rischio e, alla lunga, la cultura e l'opinione pubblica. L'identità imitativa E' da tempo, d'altronde, che la cultura andava cambiando, e che al desiderio di difendere la propria unicità si andava sostituendo in molti dei nostri pazienti la tendenza ad assumere una identità imitativa (Gaddini E, 1984). Ciò appare evidente nel avoro psicoanalitico dove un transfert imitativo andava prendendo il posto dei noti meccanismi dí difesa che fanno, di consueto, parte del transfert nel processo analitico, cui eravamo abituati in passato.* L'imitazione dell'individuo che cerca la sua forma in analisi si va poi estendendo alla cultura. Eventi particolarmente gravi, che possono spesso passare inosservati, possono oggi rivelare il diffondersi di una nuova patologia che può raramente essere oggetto di attenzione. Approfondendo, si scopre allora che questa nuova forma di psicopatologia è assai diversa rispetto al passato, e richiede un affinamento diagnostico di grande rilievo per poterla individuare e, sopratutto, per poterla trattare. Il cambiamento riguarda non solo i pazienti, ma anche gli analisti, che si trovano ora a dovere essere in grado di volgere la loro attenzione ai primissimi stadi della vita, e allo stabilirsi dei primi rapporti oggettuali. Il terrore sempre incombente della pazzia come fine del mondo, spesso presente negli imitatori, risale infatti al tempo in cui non è ancora maturato il pensiero e la mancanza - ogni mancanza - viene vissuta come catastrofe o addirittura come morte. Risalgono all'antichità osservazioni sulla tendenza a rimanere completamente presi da se stessi e ad eludere il mondo esterno tra cui, famosa, è l'opera poetica di Ovidio (anno 8° dell'era volgare). Nelle sue Metamorfosi descrisse il bambinel Narciso che per l'insolito amore per la propria immagine rispecchiatagli dalla limpida fonte di Ramusia " ... postosi in terra, gli occhi contempla che sembrano stelle, contempla le chiome, fissa con sguardo insaziabile la sua mendace figura, e dei suoi occhi perisce". Narciso, secondo il mito, eludeva l'ambiente per l'amore che aveva di sé... non ha occhi per altri se non per se stesso, di cui è follememente innamorato dice Ovidio. Una difesa dall'angoscia e dalla paura Più di recente viene rilevata da più parti la tendenza ad eludere il mondo esterno e a riparare in una identità imitativa come difesa precoce. Con questa elusione si perde però la possibilità di costruire una propria identità autonoma attraverso i processi di internalizzazione e di introiezione, e di raggiungere così una identità matura. L'imitazione, che prende quasi per magia il posto del lungo e complesso processo di identificazione è, in questa luce, vista come una difesa precoce dall'angoscia e dalla paura, e porta all'assunzione di una identità imitativa. Da sola non consente di internalizzare, perché non consente di concepire l'esistenza di un oggetto esterno: imitando, si 'diventa' magicamente ciò che, altrimenti, dovrebbe essere riconosciuto come un soggetto esterno. Poiché non consente dì internalizzare, l'imitazione non è una difesa strutturante. originariamente infatti è una difesa elementare protettiva del sé. La introiezione invece implica la capacità di riconoscere l'oggetto come esterno a se stesso, separato dall'oggetto e quindi la dinamica primitiva del mangiare e dell'essere mangiati. Si introietta in luogo di incorporare per far diventare parte di sé ciò che è fuori da sé. Anche l'introiezione è quindi una difesa magica e primitiva, ma la sua onnipotenza è limitata dall'angoscia di perdere per sempre l'oggetto, dopo averlo incorporato, e di non essere in grado di sopravvivere senza l'oggetto (che è il primo apparire del senso di dipendenza reale). Occorrerebbe perciò distinguere due tipi di onnipotenza: con la prima, totale, si sfugge all'angoscia istintuale diventando magicamente l'oggetto; con la seconda, pulsionale e magicamente più limitata, si è obbligati al riconoscimento dell'oggetto e a incontrarsi con l'angoscia della dipendenza reale per la propria sopravvivenza (Gaddini E, 1984). Si può capire come in uno spazio culturale dove regna la paura di non essere all'altezza dei miti televisivi (e non solo di quelli) e l'angoscia di perdita di sé, la clonazione, in cui può essere ravvisato il massimo dell'imitazione, possa bene inserirsi come una soluzione difensiva. Renata Gaddini *Il paziente tende ora ad essere l'analista e ad opporsi a qualsiasi movimento in direzione dell'oggetto (che vuol dire ambiente e quindi crescita) suscitando tuttavia nell'analista, grazie alle particolari abilità dell'apprendimento imitativo, la sensazione che nella relazione analitica si siano verificate delle trasformazioni di qualità oggettuale. Agazzi E (1997), Riflessioni Morali sul problema della clonazione, Documento del gruppo di lavoro del C.N.B. sulla clonazione. Bakwin H (1942), Loneliness in infants, Am J Dis Child, 63,30-4. Blake Slee S (1997), Making Baby Smart: Words Are The Way,The Herald Tribune, 18 Marzo 1997. Bowlby J (1952), Maternal care and Mental Health, 2nd ed, World Health Organization. Trad. it.Cure materne e salute mentale, O.M.S. De Carli L (1997), Clonazione per trapianto nucleare e clonazione per scissione, Documento del Gruppo di Lavoro del C.N.B. Gaddini E (1984), Se e come sono cambiati i nostri pazienti fino ai nostri giorni, “Scritti” (1953-1985), Cortina, Milano 1989, p.644. Gaddini R (1984), Dal Biologico al Mentale, Lombardo Ed, Roma, pp. 9,23,103. Ovidio, Le Metamorfosi, cap. III, Zanichelli, Bologna 1956, pp. 119-129. Parlamento Europeo. Risoluzione del 12 Marzo 1997. Spitz R (1945), Hospitalism. An Inquiry Into the Genesis of Psychiatric Conditions in Early Childhood, The Psychoanalytic Study of the Child, Vol. I, New York, p. 53. Wilnut I, Campbell KHS (1997), Nature, 27 Febbraio 1997. |