L'assai suggestivo dittico di articoli di Wanda Lattes e Graziella Magherini, apparsi sul precedente numero di questo periodico, richiama, fra l'altro, l'attenzione sulla complessa dialettica fra la condizione storico-sociale dell'infanzia e la sua rappresentazione. Essa costituisce un elemento specifico di ogni attuale analisi della condizione dell'infanzia e in modo particolare della sua storia.
La storia dell'infanzia è rispetto ad altre branche della storiografia relativamente giovane e si è sviluppata soprattutto nel secondo dopoguerra a partire dagli studi di Ph. Ariès, in particolare Padri e figli nell'Europa medievale e moderna (I° ed. francese 1960; I° ed. it. Laterza, Bari 1968). Rispetto a quell'opera, molto discussa e criticata, ma di qualità tale da costituire tuttora un punto di riferimento imprescindibile nella storiografia dell'infanzia, molta acqua è certo passata sotto i ponti. Le ricerche su questa materia si sono sviluppate in molteplici direzioni, ma un loro presupposto assai significativo -come chiariscono Egle Becchi e Dominique Julia nella introduzione ai due volumi della recente Storia dell'Infanzia (Bari, Laterza 1996) da essi curata, un'opera destinata a costituire insieme un punto di approdo e un punto di avvio di fondamentale importanza in questa materia- è dato dal fatto che noi generalmente cogliamo l'infanzia attraverso il prisma che ci hanno lasciato, in ogni periodo della storia gli adulti, cioè attraverso tracce indirette, più labili nell'età antica e medievale, più frequenti in quella moderna, e in ogni caso sempre ambigue e di complessa interpretazione. E' pertanto difficilmente pensabile una storia dell'infanzia che non sia rapsodica e contrassegnata da interrogativi destinati a restare tali e si presenti quindi come una sintesi forte e complessiva come a suo modo lo fu Padri e figli.
Diverse infanzie Nella Storia dell'infanzia si è così preferito proporre attraverso una molteplicità di saggi una pluralità di percorsi storici inerenti quelle che possono essere come le diverse infanzie all'interno delle diverse società e culture in cui esse sono esistite. Presentando così l'infanzia non come una realtà data apriori ma piuttosto come un problema con connotazioni specifiche nelle diverse epoche storiche. Nell'opera alcuni saggi di insieme sono destinati ad esse (soprattutto da parte dei curatori: Becchi sull'antichità, sul medioevo, sull'umanesimo, sull'Ottocento e sul nostro secolo; Julia sull'età moderna) unitamente ad altri saggi dedicati a questioni più particolari (come il bambino nella cultura romana, l'immagine del bambino nella trattatistica umanistica, l'educazione dei bambini nella pittura olandese del XVI sec., il lavoro minorile, l'infanzia e la famiglia, l'infanzia handicappata, la letteratura per l'infanzia ecc.) Prima di tornare in prossime occasioni su alcune tematiche specifiche proposte in questi volumi mi preme ora sottolineare come questa immagine polimorfa dell'infanzia che sottende l'intera opera sia in modo particolare (come viene più volte sottolineato nei molteplici sondaggi ad esso dedicati raccolti nel saggio della Becchi) un'acquisizione dell'esperienza del nostro secolo. Lo si constata ad esempio nell'incrinarsi progressivo della relativa omogeneità etnica della scuola infantile ed elementare e con l'apparire nelle classi a causa delle successive ondate di emigrazione, prima interna e poi dai paesi del terzo mondo, di bambini altri non inseriti completamente nell'esperienza e ell'immaginario degli adulti dei contesti che li ospitano ... e le cui risposte non sono iscritte nel capitale culturale delle istituzioni in cui sono accolti (ragion per cui spesso falliscono e vengono emarginati). Mondi plurimi Ma più in profondità a deassolutizzare e a togliere uniformità alla nozione di infanzia, a mostrare come i mondi del bambino siano plurimi, sia per quanto riguarda le strategie degli adulti nel farli crescere, sia per quanto riguarda i loro scenari di gioco, i tipi di scuola, l'attribuzione di ruoli sessuali da cui la loro esperienza è contrassegnata, vale l'attuale statuto dei saperi dell'infanzia: da quelli psicologici e soprattutto psicoanalitici- con uno studio che da una lato si spinge alle epoche neonatali e ai primissimi tempi di vita e dall'altro si rivolge ai contesti in cui trascorre la vita infantile dai quali emergono diverse idee di essa e indicano paradigmi assai diversificati di azione (terapeutica) di approcci con il bambino - a quelli di antropologia culturale, sviluppati in primo luogo da Margaret Mead, che ha realizzato in proposito una ricerca teorica e sul campo di fondamentale importanza rivolta a riproporre al proprio mondo, anche a quello dei bambini attraverso un libro di lettura per essi (Popoli e paesi, ed. it. Milano, Feltrinelli 1962), le infanzie da lei studiate e inquadrate nell'ecologia umana nella quale sono cresciute. Questi ed altri approcci e problematiche illustrati nel saggio della Becchi tendono ad analisi che partono dal bambino nelle sue relazioni con il contesto sociale in qualche modo liberandolo dalle immagini stereotipe che esso tende in vario modo a imporre loro. Ma nel contempo pone anche in luce situazioni e tendenze proprie del nostro tempo e, direi dei nostri giorni, tendenze miranti, da parte della società adulta a imporre e/o a sovrapporre alla realtà dei bambini una propria immagine di infanzia: come quelle insite nel tentativo di una sua pedagogizzazione, presente in tutta una letteratura dedicata a tematiche psicologiche, pedagogiche, pediatriche ecc. spesso di natura divulgativa, e affidata a un mondo di specialisti, che interviene sull'infanzia riformulandone l'idea e proponendone un'immagine che appare perfetta e realizzabile in tale perfezione; o quelle proprie del teatro della pubblicità, che danno luogo al mito del bambino felice, che attraverso il bambino parla agli adulti in una scena fittizia dentro la quale il piccolo passa dalla relativa naturalità e spontaneità della sua esistenza quotidiana alla finzione della scenografia in cui egli si deve trasformare in illustrazione. Ma vi è anche una possibilità in qualche modo dialetticamente opposta a queste ultime ed è quella di un mondo adulto che impara a guardare il reale con occhi di bambino. E' quello che sembra accadere nel cinema di Fellini -al cui rapporto con l'infanzia è dedicato il bel saggio di Giovanni Scibilia, l'ultimo (forse non a caso) della Storia dell'infanzia- dove lo sguardo del bambino, alter ego del regista, è assieme sguardo del cinema, di quell'occhio trascendentale che apre la possibilità stessa della visione di Luciano Martini |